L'economia secondo Ezra Pound

Poeta, pensatore, dissidente, uomo libero: Ezra Pound è un uomo senza compromessi, convinto che la figura del poeta non possa astrarsi dalle circostanze in cui si trova a vivere; individua nel conflitto tra economia e finanza la chiave di volta del «mondo moderno» e dedica perciò ampia parte della sua letteratura e della sua poetica alla riflessione sul tema. Il fulcro del conflitto, raffigurato come riproposizione della disfida tra guelfi e ghibellini di dantesca memoria, è rappresentato dall’usura: all’argomento il poeta ha dedicato, oltre al Canto XLV dei suoi Cantos, due libri: Abc dell’Economia e Lavoro e Usura.

Il pensiero economico di Pound può essere brevemente riassunto nei seguenti postulati:

  • Il denaro non è una merce, ma una convenzione sociale;
  • Il lavoro non è una merce, ma fondamento della ricchezza ed il modo più logico per distribuire ricchezza è distribuire lavoro;
  • Lo Stato dispone del credito, non è quindi necessario che si indebiti.


La somma di queste tre proposizioni è nello strumento della moneta, nella cui funzione Pound individua il centro dei problemi di un'economia reale sempre più dipendente dalla finanza, quando in realtà questa dovrebbe essere per lui nient’altro che uno strumento a sostegno della prima. Per Pound era inconcepibile che le banche potessero creare denaro dal nulla attraverso semplici operazioni contabili.
A causa di questo capovolgimento nei rapporti di forza, anche il lavoro (e di conseguenza l’economia di cui il lavoro è base imprescindibile) risulta vincolato alle decisioni prese da coloro che Pound definisce daneistocrati, ovvero individui che fondano il loro potere sul diritto di prestare denaro.
Se quindi è nel denaro il carattere di ingiustizia, per Pound è dal denaro che deve partire un progetto di riforma: riprendendo l’idea di Silvio Gesell, propose di tassare non i cittadini produttori, sul cui lavoro si regge la prosperità della Nazione, ma il denaro stesso, ponendo ogni mese una marca da bollo pari ad un centesimo del valore nominale delle banconote ed ottenendo così i seguenti effetti:

  • allo Stato, senza alcuna spesa di riscossione e senza alcuna possibilità di evasione fiscale, sarebbe garantito un reddito pari al 12% annuale della massa monetaria;
  • le banche verrebbero ridotte a meri intermediari finanziari, perché non potrebbero rinchiudere il denaro nei propri forzieri, pena perdere tutti i propri averi in 100 mesi;
  • lo Stato riacquisterebbe sovranità monetaria, garantendo un'adeguata emissione.